mercoledì 15 aprile 2009

I MODERATI secondo Lucia Annunziata

Cito articolo comparso in data 14 Aprile 2009 su La Stampa

Interessante

I MODERATI

di
Lucia Annunziata

Dal buio in fondo al tunnel della sconfitta della sinistra, si avanza un nuovo soldato: il moderato. Il termine è aleggiato intorno a Dario Franceschini e al suo Pd per la tregua istituzionale scelta nel periodo del terremoto; è stato imbracciato da un politico mite per eccellenza, Enrico Letta, che nel suo nuovo libro in uscita, Costruire una cattedrale, lo usa in maniera tutt'altro che timida. E - se possiamo presumere che i media ancora rispecchiano il paese - forse non è un caso che sia stato ritirato fuori dal nuovo direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli per declinare la identità del suo giornale nel saluto ai lettori.Che si tratti di tendenza, speranza, o anche soltanto di un semplice augurio, l'idea ha preso forma, in maniera conscia o inconscia, durante la settimana di lutto che abbiamo alle spalle: che si sia davvero di fronte a un tempo di nuova moderazione? Già solo la domanda è un segno. I moderati sono spariti da anni dall'orizzonte della nostra politica, trascinati via dal disfacimento della Dc, divenuti sinonimo di trasformismo, debolezza, ambiguità nella corsa iperidentitaria del bipolarimo tra destra e sinistra. In questi ultimi anni il loro posto è stato preso infatti, e con un po' di imbarazzo per la non perfetta simmetria, dai Centristi. Ma moderato, almeno come se ne sente parlare in questi abbozzi di discussione, non è affatto il centro. Nel dire questo, prendo in prestito proprio una definizione di Enrico Letta: «L'elettorato non è bipolare, ma tripolare: diviso non tra destra e sinistra ma tra progressisti, moderati e populisti». Questa è, come si vede, una riscrittura radicale delle definizioni che usiamo oggi: non più destra, non più sinistra, e nemmeno centro. Si parla di una nuova geometria in cui sotto il termine «populista» si allineano parti della destra, della sinistra e delle terre di mezzo attuali. Per dirla ancora con Enrico Letta: «Si tratta di unire progressisti e moderati, in un patto che non potrà includere né la Lega da una parte, né Di Pietro e i comunisti dall'altra».Se questa idea andrà avanti o no non lo sappiamo. E' interessante invece cogliere gli elementi da cui nasce questo ragionare, che sembra tentare molti nel centro sinistra di oggi.Il terremoto ha segnato una svolta significativa del Pd. E' troppo parlare di unità nazionale. Ma certo il nuovo segretario del partito dei democratici si è preso una bella responsabilità: quella di rompere la prigione berlusconismo-antiberlusconismo. E non certo per «tradire» o fare «inciuci». Tanto è vero che, in piena emergenza terremoto, ha piazzato alla Camera una formidabile manovra parlamentare che si è infilata dentro le contraddizioni del governo e ha permesso l'affossamento delle misure più «populiste» (quelle della Lega) sugli immigrati. Mi piace pensare, dunque, che la rottura dello schema «sì o no a Berlusconi» sia il merito di uno sguardo che si è alzato dalla quotidianità. Il tremito che ha scosso l'Abruzzo - come sempre accade nel cortocircuito che lega catastrofi e politica - è stato nel nostro paese un momento quasi catartico di risveglio: la materializzazione dello sfascio, della fragilità, della insicurezza su cui poggiano i nostri piedi, è stata la stessa che la crisi economica filtra nella nostra coscienza. Il tremore della terra è diventato il segno di tempi più duri per tutti, la scoperta, il sapore dei tempi in cui viviamo. La cautela, l'attenzione con cui il Pd si è mosso, sono state - credo - non un consenso al premier Berlusconi, ma una presa d'atto di questo nuovo mondo. Vorrei ricordare qui un dettaglio, andato perso la scorsa settimana nella travolgente cronaca del dolore, ma non sfuggito a chi fa politica, specialmente nel centro sinistra. Stanno emergendo segni sempre più consistenti di nuove reazioni popolari alla crisi. Penso ai sequestri di manager, alle ribellioni, agli attacchi e a tutte quelle azioni che l'economista francese Jean-Paul Fitoussi ha già definito, senza giri di parole, «una rivolta popolare non coordinata, spontanea. E molto pericolosa». Che nasce stavolta da una dimensione «intellettuale» della crisi economica: la sensazione, cito ancora Fitoussi, che «la gente ha avuto di essere stata presa in giro». «Le fondamenta della democrazia sono in pericolo», non esita a dire il francese, e con lui molti intellettuali italiani oggi, nello schieramento di centro destra come in quello di centro sinistra. Se questa è la dimensione della crisi che ci viene addosso, forse la «moderazione» è un'illusione. Ma è certo un buon luogo da cui tirare un respiro, riflettere, e contare fino a tre prima di lanciarsi nel vuoto.